La Linea Gotica
Nel luglio 1943, al momento dello sbarco anglo-americano in Sicilia, i tedeschi – già dubbiosi sulle intenzioni degli italiani circa la continuazione della guerra – intensificano lo spostamento di truppe verso l’Italia, e all’indomani dell’armistizio sono in grado di completare rapidamente l’occupazione militare della penisola, senza incontrare grandi resistenze. Il regio esercito infatti si sbanda, e 600mila soldati cadono nelle mani dei tedeschi, che li deportano in Germania. Oltre che divisa politicamente (a sud il governo monarchico protetto dagli Alleati, al centro-nord quello fascista della Repubblica Sociale Italiana, controllato dai tedeschi), L’Italia si ritrova dunque ad essere occupata da due eserciti belligeranti.
In autunno lo Stato Maggiore germanico valuta l’adozione di due possibili strategie difensive: quella sostenuta da Erwin Rommel (ritirarsi subito per resistere sull’Appennino tosco-emiliano) e quella di Albert Kesselring: combattere anche nel centro-sud, per ritardare l’avanzata alleata e costruire una linea difensiva poderosa. Hitler appoggia la seconda opzione; e mentre nei primi mesi del 1944 nel sud la Wehrmacht contende il terreno palmo a palmo agli Alleati, sugli Appennini cominciano i lavori di fortificazione: dal Tirreno (valle del Magra) all’Adriatico (valle del Foglia), per oltre 300 chilometri. “Linea Gotica” è la denominazione data al sistema difensivo, ma per i tedeschi dura solo fino a giugno, quando Hitler decide di cambiarla in “Linea Verde”. Gli Alleati invece continueranno a chiamarla secondo l’appellativo originario.
Anche dopo lo sfondamento degli anglo-americani a Cassino (maggio 1944), Kesselring – diventato nel frattempo comandante in capo del fronte sud italiano – mantiene la strategia iniziale: ripiegamento attivo su linee di resistenza improvvisate, per ritardare l’avanzata del nemico e guadagnare tempo per i lavori della Linea Gotica. Sfruttando ostacoli naturali e centri abitati, demolendo ponti ed edifici, creando ampie zone minate, la resistenza delle retroguardie tedesche (piccoli gruppi di fanteria accompagnati da un carro armato, che arretrano ordinatamente con sbalzi di circa 20 chilometri) si rivela efficace: oltre a causare agli Alleati perdite ingenti, li disorienta, costringendoli ad attaccare continuamente su posizioni diverse. Risultato: l’avanzata è lenta e difficile, e gli anglo-americani impiegano un anno a raggiungere l’Appennino centrale.
LA COSTRUZIONE DELLA LINEA GOTICA
La Linea Gotica è costituita da un sistema di fasce fortificate che da Marina di Massa salgono subito sulle Alpi Apuane, per attraversare l’area del medio Serchio fino a Borgo a Mozzano e salire poi di nuovo verso l’Appennino pistoiese, al Passo della Collina. Da qui in avanti – raggiunto Vernio e il Passo della Futa – le fortificazioni corrono sul crinale principale dell’Appennino, concentrandosi sui passi (Giogo di Scarperia, Colla di Casaglia, Passo del Muraglione, Passo della Calla, Passo dei Mandrioli). Piegano quindi verso l’alta valle del Savio e risalgono di nuovo alle Balze e a Badia Tedalda. Infine, da Piandimeleto in avanti si collocano sulla sponda sinistra del Foglia, fino a Pesaro.
La linea principale è preceduta da una zona di sicurezza in cui i genieri tedeschi creano ostacoli per una fascia di 10 chilometri, smantellando linee di comunicazione, distruggendo edifici, minando i corridoi di transito. La “Gotica”, inoltre, viene rafforzata da una linea arretrata, a 20 km di distanza, denominata “Linea Verde II” (corre da Riccione a Montefiore Conca a Sarsina a Galeata a Marradi, per salire poi sulle montagne a nord di Firenzuola, Castiglione dei Pepoli, Porretta Terme, Corno alle Scale, e – passando per Barga – raggiungere le Apuane).
Va detto che la Linea Gotica non è paragonabile a linee fortificate come la Maginot o il Vallo Atlantico, giacché per mancanza di mezzi e di tempo, si punta soprattutto a sfruttare il terreno montuoso e gli ostacoli naturali (dirupi, fiumi, torrenti, scarsa viabilità). Le strutture in cemento armato e in acciaio sono poche; prevalgono le barriere costruite con terra, legno e pietre. Le opere difensive, inoltre, sebbene collocate con una certa regolarità, non sono uniformi lungo il tracciato. I punti maggiormente fortificati sono le zone costiere e il Passo della Futa (più facilmente aggredibile di altri passi); queste aree sono protette con chilometri di fossati anticarro, bunker in cemento armato, torrette di carri interrate, reticolati, campi minati. Altrove si allestiscono difese più semplici: camminamenti e ricoveri mimetizzati nel terreno, grotte, trincee, parapetti in pietra. Nei punti con buona visibilità di tiro – su posizioni elevate e ben difendibili – si predispongono piazzole per l’artiglieria. Anche per questa parziale debolezza della fortificazioni (oltre che per la mancanza di truppe) l’organizzazione difensiva tedesca si baserà soprattutto sull’adozione di un criterio elastico, imperniato su sbarramenti e capisaldi scaglionati in profondità, presidiati da piccoli plotoni mobili. Con linee di fuoco incrociato a proteggere questi nuclei difensivi, che sono perciò in grado di resistere a lungo agli attacchi.
La costruzione della Linea Gotica, del resto, non è priva di problemi: la Todt, l’organizzazione a cui sono affidati i lavori, ha bisogno di molte braccia, e nonostante i 18mila genieri dell’esercito e l’arrivo di una brigata slovena di 2000 soldati, si rende necessario ricorrere ai lavoratori civili; vengono così reclutati con i metodi più diversi – spesso con i rastrellamenti – circa 50mila italiani.
Nella primavera del 1944 una prima ispezione ai lavori dà esito piuttosto negativo: sono indietro rispetto alle previsioni. In giugno un secondo sopralluogo fa emergere una situazione ancor più sconfortante: la linea è priva di profondità, mancano protezioni per le armi pesanti, i collegamenti trasversali sono scarsi. La responsabilità dell’ultimazione dei lavori passa a questo punto direttamente nelle mani dei comandanti delle due armate che si stanno schierando a difesa della linea: i generali Lemelsen (Quattordicesima Armata, sul settore centro-occidentale denominato “Teodorico”) e von Vietinghoff (Decima Armata, sul settore centro-orientale, denominato “Alarico”). Si cerca di accelerare i tempi, ma nel complesso l’andamento dei lavori resta lento, in parte per le difficoltà legate alla costruzione di opere in zone montuose e spesso prive di collegamenti, in parte per la scarsa volontà dei lavoratori italiani, e non da ultimo, per i sabotaggi dei partigiani, contro i quali si scatena la violenza tedesca. Le rappresaglie sono, in effetti, spietate, e coinvolgono, purtroppo, anche civili inermi. Sono mesi molto difficili per la popolazione, sottoposta da un lato ai bombardamenti degli Alleati, dall’altro ai rastrellamenti, alle rappresaglie e alle requisizioni dei tedeschi, che rapinano di tutto e, per assicurarsi la tranquillità, non esitano a compiere efferati eccidi di massa, ponendo in essere una vera e propria “strategia del terrore” ai danni dei civili (che poi con l’approssimarsi del fronte vengono fatti evacuare a forza).
UOMINI CONTRO SULLA LINEA GOTICA
Alla fine di agosto, quando gli Alleati stanno per sferrare l’attacco, la Linea Gotica non può dirsi completata, ma lo stato dei lavori viene giudicato dallo stesso Kesselring soddisfacente. Non ci sono dati precisi per il settore centro-occidentale, ma in quello orientale sono stati completati 2375 nidi di mitragliatrice, 479 postazioni di artiglieria, oltre 3600 trincee e ricoveri, oltre 16mila postazioni di tiro, 9 km di fossati anticarro; inoltre, sono state collocate circa 100mila mine, stesi 117mila metri di reticolato; installate 4 torrette di carri Panther e 18 di carri piccoli.
In termini di forze armate, i tedeschi nell’agosto 1944 schierano sulla Linea Gotica 24 divisioni (22 germaniche e 2 italiane) per un totale di circa 300mila uomini (sono però divisioni a corto di effettivi e per lo più composte da fanteria appiedata; solo 5 sono divisioni mobili di carri ed artiglieria). Sul fronte opposto, gli Alleati – oltre al dominio assoluto dei cieli e ad una forte superiorità in mezzi ed armamenti – hanno a disposizione quasi un milione e mezzo di uomini, raggruppati in 20 divisioni. Sebbene oltre la metà di essi sia costituita da forze non combattenti, la superiorità alleata anche in termini di soldati è dunque schiacciante.
Sul finire di agosto comincia l’offensiva alleata, in codice operazione Olive. Prevede un massiccio attacco dell’Ottava Armata britannica (guidata dal generale Leese) sulla costa adriatica per costringere i tedeschi a spostare il grosso delle forze in Romagna; quindi l’avanzata della Quinta Armata americana (generale Clark) su un centro delle linea ormai sguarnito, e – dopo aver preso Bologna – l’attacco decisivo, dal retro, ai danni della Decima Armata tedesca.
Fortemente voluta dal primo ministro inglese Churchill per arrivare nei Balcani prima dei russi, l’offensiva comincia dunque nel settore adriatico, il 25 agosto 1944. Il secondo attacco prende invece avvio il 12 settembre, al Passo del Giogo, ad opera della Quinta Armata.
Il piano Olive viene attuato, ma non tutto va come previsto. Gli inglesi (affiancati da reparti greci, canadesi, neozelandesi, indiani e nepalesi), impiegano quasi un mese per arrivare a Rimini, subendo perdite ingenti. Gli americani – conquistato il Passo del Giogo dopo una settimana di aspri combattimenti – avanzano anch’essi lentamente, ostacolati da un’accanita resistenza tedesca. In alcuni casi, come sul Monte Battaglia, per avere ragione delle difese germaniche devono contare sulla collaborazione determinante dei partigiani. Così, a metà ottobre le avanguardie americane, in difficoltà per le perdite subite, la mancanza di rifornimenti e il sopraggiungere del maltempo, si fermano a Livergnano, a 15 chilometri da Bologna (gli inglesi proseguono lentamente, liberando Forlì, ma poi si fermano anch’essi, sul Senio).
Il 13 novembre sono diffuse le istruzioni del generale Alexander: le operazioni militari alleate si arrestano fino a primavera, i partigiani sono invitati a cessare le attività. Per la Resistenza è una vera e propria doccia fredda: impossibile per i partigiani tornare alle proprie case. Così, l’inverno che segue è drammatico: oltre ad avere il tempo per riprendersi e ricostituire nuovi approntamenti difensivi, i nazifascisti pongono in essere una sistematica azione di repressione che falcidia le bande partigiane, costringendole a ritirarsi o disperdersi.
In preparazione dell’offensiva generale prevista per la primavera 1945, nel settore centrale della Quinta Armata, verso la fine di febbraio, hanno inizio delle operazioni per strappare ai tedeschi il controllo della Porrettana. Truppe americane specializzate nella guerra di montagna, con l’appoggio delle truppe brasiliane della FEB e di unità partigiane, a partire dal 19 febbraio occupano i Monti della Riva e il crinale di monte Belvedere, spingendosi verso Modena e il Po. Il 16 aprile gli americani entrano a Vergato, mentre la 6a Divisione sudafricana espugna Monte Sole: con la caduta di Monterumici e il ritiro dei tedeschi da Monte Adone il 18 aprile, la strada verso Bologna è libera e il 21 aprile reparti polacchi e bersaglieri italiani entrano nella città già sgomberata dalle truppe tedesche.
Dalla fine di agosto 1944 all’aprile 1945, la lunga battaglia per scardinare la Linea Gotica ha provocato distruzioni incalcolabili ed oltre 200mila tra morti, feriti e dispersi in entrambi gli schieramenti e tra gli italiani (militari, partigiani, civili).
I RESTI DELLA LINEA GOTICA
Oggi delle opere difensive della Linea Gotica non rimangono che resti. A distanza di oltre 70 anni, la natura e l’opera dell’uomo hanno fatto la loro parte, coprendo, sgretolando, distruggendo, riconvertendo a usi civili. Ciononostante, ci sono luoghi in cui i resti, benché ridotti a rovina, sono ancora ben visibili (purtroppo spesso difficilmente identificabili, per mancanza – a parte poche eccezioni – di segnaletica). Altri resti invece (seppur pochi) sono stati conservati e persino restaurati. Sotto questo punto di vista, va detto che il recupero di quel “luogo di memoria” che indubbiamente è – per quanto esteso e disarticolato – la Linea Gotica, ha subìto nel tempo la sorte toccata, in generale, alla memoria della guerra e della Resistenza. Una memoria che, pur avendo fornito un cemento identitario alla maggioranza degli italiani (specie in occasione di alcuni passaggi delicati della storia dell’Italia repubblicana) non ha ricevuto un’accettazione condivisa da tutti. L’identificazione nei valori della Resistenza e dell’antifascismo, cioè, benché scolpita nelle nostre istituzioni, non ha evitato che quel passato diventasse anche fonte di contrapposizioni e polemiche. Non a caso, fin dall’immediato dopoguerra, la realizzazione di cippi, lapidi, targhe e poi anche monumenti, più che rappresentare delle tappe nel percorso di costruzione di una “religione civile”, si è tradotta niente più che un monito per le generazioni successive. Lungi dal celebrare vittorie o esaltare i valori etico-civili della Resistenza, queste opere si limitano, di solito, a ricordare il sacrificio di chi è morto per la libertà (senza contare che questi manufatti, non di rado sono stati quasi dimenticati, diventando preda dell’incuria e talvolta del degrado).
Inoltre, se si parla di “luogo di memoria” – vale a dire, secondo la definizione dello storico francese Pierre Nora, di “un’unità di natura materiale o ideale che la volontà degli uomini o il lavoro del tempo ha trasformato in elemento simbolico di una comunità e punto di cristallizzazione della memoria collettiva” – va ricordato che uno spazio fisico non è facilmente rappresentabile in modo lineare: il tempo agisce sui luoghi, e la storia che trasmettono può essere sì condivisa, ma anche contestata, manipolata, usata come arma politica. Circostanza, questa, che vale in modo particolare per la Linea Gotica, caratterizzata da una dimensione spaziale precipua, che da un lato non coincide con interi territori regionali, e dall’altro propone un’idea piuttosto vasta di “luogo di memoria”.
E’ per tali motivi che fino a tempi recenti i resti della Linea Gotica non hanno ricevuto molte attenzioni, almeno dal punto di vista del recupero e della valorizzazione quale patrimonio storico e, appunto, “luogo di memoria”. Dagli anni Ottanta però, in concomitanza con l’aprirsi di una stagione connotata da crescente insoddisfazione per la dimensione commemorativa della guerra e della Resistenza, è decollata la sperimentazione di modalità di intervento innovative, quali i parchi storici, gli ecomusei, i musei diffusi; una sperimentazione che ha cominciato a prendere in considerazione anche la Linea Gotica (senza dimenticare i nuovi musei sorti in varie località).
Gli storici, per la verità, lamentano ancora la mancanza di un approccio davvero ampio, che tenga insieme Resistenza, guerra, deportazione, e sia quindi in grado di dare la giusta rappresentazione dell’esperienza bellica. Ciononostante, alcune nuove prospettive sembrano delinearsi. Stanno prendendo piede iniziative (delle pubbliche amministrazioni, ma con fattive collaborazioni degli istituti storici, di associazioni ed anche di privati) che cercano di promuovere i luoghi storici e di memoria in un quadro d’insieme, con il resto del territorio.
Qualcosa si muove, verrebbe dunque da dire. Ma non basta. Se l’essenziale – come è stato scritto – è il fatto di non dimenticare mai di raccontare alle generazioni successive le tante storie di passione civile, sofferenza, coraggio, speranza e partecipazione popolare che hanno affollato questo drammatico frangente della storia italiana recente, allora questa guida, così come la precedente dedicata a chi si muove in bicicletta, nel suo piccolo ha l’ambizione di collocarsi in tale alveo, sollecitando attraverso modalità di fruizione lenta ed ecosostenibile dei territori, l’attenzione per la conservazione di un patrimonio storico che – almeno in alcuni luoghi – è a rischio di scomparsa, e che invece potrebbe ancora adempiere alla decisiva funzione di evocare e raccontare tali storie.
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