La Mia Linea Gotica
di Vito Brusaferro
La Mia Linea Gotica
La bicicletta mi ha accompagnato gran parte della vita nei miei viaggi, portandomi in percorsi classici come Compostela, Corsica e Sardegna, ma ho sempre amato l’anarchia di percorsi personalizzati in cui potere visualizzare e cercare strade “diverse”, storiche, culturali.
Il dilatare dei tempi, la ricerca di ritmi più “umani” mi hanno successivamente portato ad amare anche la camminata, un modo di vedere le cose più “lentamente” ed approfonditamente. Questo per implica tempi che il lavoro non permette di trovare; comunque mi dedico ad alcune vie (Francigena tosco-laziale, via degli Dei, via Vandelli, alcune tappe del CamminaItalia). Ma la pensione arriva e mi da la possibilità di dedicarmi con maggiore tempo alle mie passioni; pertanto decido che stavolta è l’ora di partire in solitaria, magari ben equipaggiato, senza pormi limiti di tempo od obiettivi finali.
Occorre ora scegliere. I cammini in Italia sono infiniti, spesso legati a storicità religiose, ma queste non sono di mio interesse. La storia vuole che spesso si dimentichi, alcune date per giovani (ma non solo per questi) sono insignificanti. La scelta del cammino va quindi rivolta ad un percorso che mi dia la possibilità di riscoprire (o scoprire) una parte della storia cui le scuole non mi hanno mai permesso di arrivare per termine del programma: la seconda guerra mondiale.
Il tutto nasce da un disco di autori vari, “Materiale Resistente” di gruppi italiani che trattano di quel periodo, di italiani che sono stati sempre contrari a quel sistema e che hanno lottato, con l’aiuto, forse non sempre disinteressato, ma comunque notevole, di altri popoli che hanno concorso a farci diventare un paese più libero.
La scoperta di un itinerario della Linea Gotica quindi mi permette di osservare, studiare e valutare le possibilità di affrontare questo itinerario, la presenza poi delle tracce gpx è uno sprone notevole.
Quindi mi attrezzo e decido di partire, senza pormi limiti od obiettivi prefissati. Si vive alla giornata
GIORNO UNO
Ecco il treno, il mezzo scelto per il trasporto. L’arrivo a Firenze a metà luglio scopre una bolgia infernale: sono tentato di tornare indietro. Anche il trasporto fino a Pisa mi rende dubbioso sulla scelta fatta, anche perché siamo ammassati, io e tanti turisti con bagagli che non stanno da nessuna parte… finalmente verso Massa mi sento più a mio agio, la gente si riduce, si vive meglio insomma.
Massa nel primo pomeriggio è bollente! Si parte finalmente a piedi e via al Cinquale dove comunque si intravede la frenesia delle spiagge viareggine. Per fortuna diamo le spalle al caos risalendo verso il Castello Aghinolfi; il castello è chiuso, la salita asfaltata (su tratto della Francigena) permette di vedere la struttura solo da ovest, purtroppo è deludente, sia perché è chiuso, sia perché appunto percorso monotono. Per fortuna la monotonia viene ridotta grazie ad un capriolo che mi attraversa la strada velocemente, quasi schiantandosi sull’asfalto per la foga, e proseguendo nel fondovalle.
Si giunge a Montignoso, c’è Villa Schifft con il Centro Documentazione Linea Gotica, purtroppo chiusa nel pomeriggio (e mi sembra aperta solo su prenotazione).
La delusione si aggiunge al fatto che qui anche i bar non dispongono di alimenti, per cui si tira avanti con una birra e si decide di proseguire anche perché è presto; almeno si risale fino alla parte alta del paese dove è un negozio di alimentari. Dopo una inerpicata mi rendo conto che purtroppo al pomeriggio i negozi aprono dopo le 17, pertanto ci si riposa sotto un ombrellone, con bella vista sul mare (dall’altra parte il monte è, come sempre più oramai, uno svettare di ripetitori e antenne varie).
La giornata è bella, ricaricato di viveri decido per la salita, tra mosche e zanzare, col bel sentiero che mi conduce a terminare la tappa alla stupenda chiesa dei Partigiani del Pasquilio.
Struttura bellissima con vista meravigliosa.
Ottimo punto per piazzare la tenda, peccato non ci siano strutture di supporto, solo una presa dell’acqua con tubo in gomma nel fango in cui risulta difficile lavarsi, comunque il minimo vitale è assicurato.
GIORNO DUE
Occorre svegliarsi presto per approfittare della temperature mite. Il Tirreno è un un mare di nubi.
Si risale verso il Piazzale del Termo, quindi sotto ai ripetitori si inizia a risalire la cresta teatro di
scontri degli alleati americani (in realtà molti erano afro-americani e nippo-americani). Ultimi metri dove si arranca per risalire il Folgorito con splendido panorama anche se con molte nubi. La discesa lenta conduce alla bella chiesa di San Nicola (chiusa ovviamente). Incontro solo un biker che scende.
La discesa si fa a tratti meno evidente, con alcuni bivi che mi costringono ad alcune risalite, talora anche importanti (vi sono bolli rossi ma nessuna indicazione, consiglio di stare sulla sinistra in vista dei tralicci).
Seravezza è bel paesino con resti di cave (indicate da Michelangelo). Rifornimento alimentare d’uopo e ripartenza in salita per poi scendere a Corvaia e quindi risalire verso Capriglia ritrovando un tratto della Via Francigena.
Da Capriglia seguo l’Alta Via, soffro diversi momenti di crisi di stanchezza su percorso prevalentemente in sa,da mosche e zanzare che mi attaccano nonostante le spruzzate di
repellente. Quando sono in quota per , nonostante il bosco e quindi la copertura dei panorami, si respira meglio e si continua incessantemente fino ai resti delle miniere di Santa Barbara (alcuni dirupi). Mi trascino fino al piazzale del bellissimo Sacrario di Sant’Anna, zona di eccidio nazista, che ricordavo grazie ad un film di Spike Lee.
Qui, nonostante la mancanza di alimenti al seguito, decido di fare sosta per esaurimento fisico.
GIORNO TRE
Nonostante sia affamato, il fisico regge, scendo il lastricato sentiero della Pace per poi risalire verso Farnocchia, bel paesino di monte appenninico. Inizia una lunga discesa nel bosco che mi conduce a Le Molina.
Qui non identifico il sentiero che sale verso Stazzema, e proseguo erroneamente sulla strada asfaltata per alcuni Km. Tenacemente riscendo per scoprire che il sentiero è completamente invaso dalla vegetazione, quasi impossibile identificarlo, ed anche la prima mezz’ora risulta una
lotta con le racchette per liberare spazi. Il santuario del Piastriao (chiuso) mi ripaga della fatica e
Stazzema è li vicina.
Bellissimo il paesino di Stazzema, anche se non trovo alcuna struttura di appoggio per poter mettere qualcosa sotto ai denti. Si prosegue quindi risalendo il paese e poi nel bosco, in un bellissimo ambiente che evidenzia anche il bel Monte Forato; incontro solo due escursionisti senza zaino (presumo stiano passeggiando) e giungo all’incrocio del Monte Forato. La mia intenzione era quella di spingermi fino a lì, ma sono senza alimenti ed acqua, quindi decido di
salire alla Foce delle Porchette per poi affrontare una lunga discesa fino a Palagnana, dove finalmente trovo da rifocillarmi.
Riparto con brio in salita su asfalto verso S.Andrea-Ansano per poi intraprendere una lenta e modesta discesa che mi conduce a San Rocco (Pascoso).
Siamo nel tardo pomeriggio, provo a proseguire nel bosco, accampandomi per un breve riposo. Decido che comunque non sono in grado di andare oltre, anche perché nella località ho sentito che sono stati segnalati i lupi e siamo all’imbrunire.
Decido di disfare la tenda e rientrare in paese dove mi accampo in una pineta vicino ad una comoda osteria che mi permetterà di affrontare meglio le giornate successive. Peccato la mancanza di acqua per igiene.
GIORNO QUATTRO
Riparto di buon mattino per risalire un bosco molto tetro (faggi e castagni) su sentiero a tratti invaso da gruppi di cavalli allevati, fino ad emergere ad un piccolo gruppo di case abitate molto isolate. Ancora in salita giungo sulla splendida cresta della Foce del Termine a 1000 m: peccato ci sia un forte vento, ma soprattutto nuvole basse che impediscono il panorama. L’ambiente è comunque gradevole e anche il percorso in cresta è fantastico.
Anche la discesa successiva è piacevole, con l’arrivo alle ex coltivazioni di orzo e i ruderi della chiesa di Sant’Antonio Campallorzo. Decido di risalire il Monte Prana, luogo di combattimento degli alleati brasiliani, quindi proseguo a lungo nel bosco (trovo due ragazzi, probabilmente si recano ad un vicino bivacco a pranzare). Qui i morsi della fame si fanno sentire, per fortuna vedo una deviazione in salita per un rifugio…chiuso. Trovo un signore molto gentile che mi spiega che il rifugio è suo, ma è chiuso durante la settimana, mi offre anche un passaggio verso il Passo, ma decido, ovviamente, di proseguire a piedi.
Il percorso è effettivamente un poco lungo, ma arrivo al Passo del Lucese con l’oratorio di San Jacopo, sosta d’uopo. Qui trovo un gestore molto simpatico che mi chiede del cammino, vuole informazioni, vuole sapere come andrà a finire; alla fine si sorprende del peso del mio zaino e decide di “alleggerirlo” aggiungendo una barretta energetica: grazie Luigi, bella persona!
Riprendo più motivato scendendo e trovando il sentiero verso Antignana: qui nuovi problemi si pongono per l’assenza di segnalazioni inizialmente che mi costringono ad alcune retromarce in saliscendi. Finalmente ritrovo una traccia ben indicata verso Antignana che il road mi dà vicina, ma c’è un problema: il percorso è completamente invaso dalla vegetazione (perlopiù rovi!), lavoro di racchette per sgomberare il percorso, ne rompo una, l’altra perde la punta, nello scoramento dopo tre quarti d’ora arrivo ad Antignana e mi piazzo sotto un fico per riposare e medicare anche le ferite: gambe e braccia sono tutte segnate dai rovi. Il sentiero era impraticabile, accidenti!
Si riprende a salire con percorso migliorato, fino a ritrovare una sterrata che dolcemente porta alla bella chiesa di Santa Zita; anche qui tante strutture private di turisti, perlopiù anglosassoni, ma nulla più. Vana la ricerca, non c’è campo telefonico, pertanto decido di risalire come riporta la tappa a Torcigliano Alto; qui nessuna struttura; ridiscendo pertanto verso valle, ma inutilmente, non c’è nulla nei pressi.
Decido quindi per la prosecuzione verso Borgo a Mozzano, notando che a San Graziano è un ristorante che potrebbe rappresentare (“spes”) un punto d’appoggio.
La salita è impegnativa, segnata da erosioni e segni di cinghiali, sono disidratato, alla fine giungo sul crinale del Formicoso alla località San Graziano: il ristorante è aperto è sarà un ottimo punto di appoggio.
Peccato che il grande campo di fronte sia privato e sia espressamente vietato il campeggio, pertanto decido di accamparmi un poco su verso il Formicoso, mi viene detto dei lupi, ma non ne ho mai visto traccia in questi giorni, pertanto sono tranquillo. Peccato anche perché l’igiene devo farla a bottigliette d’acqua.
GIORNO CINQUE
Si riparte lungo il Formicoso, su percorso a tratti invaso da rovi e ragnatele, a tratti su canali erosivi molto profondi lungo il sentiero (attenzione alle caviglie!). Sbaglio anche percorso, ma per fortuna ritrovo la traccia principale oltre, giungendo a San Donato, piccola località con una bella
chiesa.
Il percorso mi porta ad aggirare la strada, lungo un viottolo per Mountain bike, anche qui in realtà il percorso diviene quasi inspiegabilmente ostruito dalla vegetazione, per fortuna il tratto è breve. Ritrovo la strada Lodovica, quindi la “civiltà”, fatta di automobili, traffico, rumori, ma anche bar ristoratori.
Noioso il percorso a lato della strada (anche se trovo qualche deviazione sulla via del Volto Santo) fino a Borgo a Mozzano la sede tecnica ed amministrativa della Todt tedesca dell’epoca, con la gigantesca muraglia che ne sbarrava l’accesso.
Decido di fermarmi a fare una lavatrice a gettone, dedicando il tempo a visitare il bel paese con lo stupendo Ponte del Diavolo e al Museo della Memoria, con un anziano che mi spiega la funzione storica del paese durante la Resistenza.
Su riparte sulla via Ludovica, grosso modo seguendo il fiume Serchio. Percorso a tratti noioso, a tratti pericoloso, che mi costringe ad intuire dei tratti lungo il greto del Serchio per evitare insidie stradali.
A Gallicano decido che qua bisogna interrompere la tappa e che questa notte va passata più comodamente in hotel, dove poter sistemare un poco tutto il materiale per le tappe successive. Come anche riportato nel sito, il tratto Borgo a Mozzano-Gallicano Barga andrebbe effettuato con mezzi pubblici, proprio per evitare strade e pericoli (o fino alla costruzione di una ciclabile…).
GIORNO SEI
Mi preparo ad affrontare una lunga salita che mi porta a Barga e poi, attraverso una vecchia selciata (percorsa ancora in certi tratti da automobili!!). Salgo a Sommocolonia, col museo della Battaglia e la Rocca della Pace. Il borgo fu presidiato in modo altalenante da tedeschi, alleati, partigiani.
Discendo quindi fino a trovare la strada per il Rifugio Santi. Ovviamente lascio la strada più comoda per Renaio ed affronto la salita di Montebono: il sentiero è duro, si sale molto decisi, fra abbaii di caprioli, qualche viperella, ma sempre nel bosco che permette un riparo dal calore. Nel bosco ci si ferma presso la cima dello Specchione (1200m) a degustare qualche prodotto locale caricato nello zaino a Barga, quindi dopo un riposino si giunge al Rifugio Santi.
Qui è una sorpresa positiva: gestori simpatici, una grande Chiara che mi indica dove accamparmi, che mi ospita, che mi fa sentire bene. Una grande sorpresa poi trovare fuori dei “ragazzi” che mangiano ed ascoltano musica: mi sento un poco esperto (possiedo 10mila dischi), indico loro i titoli di quello che ascoltano, e quindi mi fanno “entrare” nel loro vivace gruppo.
Sono brave persone, molto ospitali, di quelle persone che ti fanno sentire in pace col mondo, quindi bene socializzare con loro.
Ascoltiamo un po’ di musica, allungata con gin islandese (…ed altro), ma debbo salutarli, domani si riparte! Grazie a tutti, rifugio Santi un must!
GIORNO SETTE
Eccoci pronti a ripartire! Purtroppo stamane mi risveglio con un problema fisico abbastanza fastidioso; decido di rallentare un poco per le prossime tappe, non vorrei dover fermarmi! Salgo lentamente e ritrovo il Sentiero Italia del Cai alla Porticciola, il percorso è entusiasmante, sono abituato alle Alpi Trentine, ma anche questo Appennino è bellissimo.
La discesa verso il Lago Santo è meno entusiasmante, non tanto per il lago che è molto bello, quanto perché qui è pieno di gitanti domenicali, dopo tanta solitudine od incontri “mirati”, qui è come essere in vacanza.
Dal lago decido pertanto di partire subito verso l’impegnativo strappo della Foce del Giovo. Qui la tappa (e la prudenza) indurrebbero a scendere verso il Rifugio Casentini. Ma mi sento bene, meglio proseguire e fare una doppia tappa, pertanto su verso il bellissimo sentiero di crinale fra resti di ricoveri militari, sottostanti impianti di risalita, fino all’Alpe Tre Potenze (1949 m), antico confine medievale (da cui il nome).
Al sottostante Lago Nero vi giungo tagliando per prati; anche il lago è frequentato. Riparto velocemente, salendo per rocce su sentiero ora meno comodo, che mi porta con diversi saliscendi alla Foce di Campolino. Oltre faccio un errore che mi costerà notevole fatica, infatti seguo dei bolli rossi in discesa (probabilmente una vecchia pista da sci, fors’anche una scorciatoia), invece di proseguire sul crinale e scendo almeno di 300 m di quota. Mi accorgo col gpx di essere in errore e quindi decido di risalire; comincio anche a risentire il problema fisico, speriamo bene.
Ora sono sulla cresta con tratti sassosi anche impegnativi per uno “appesantito” dallo zaino (sassi mobili), ma il panorama è entusiasmante, sempre sul bordo di una Riserva Naturale. Giungo alla fine al Monte Poggione e poco oltre è il monumento ai Partigiani: qui infatti operava una combattiva unità partigiana.
La discesa è piuttosto lunga, su tratto forestale, alla fine giungo a Pian Novello dove trovo un campeggio ed uno spazio per la mia tenda.
GIORNO OTTO
Il risveglio è purtroppo duro. Il problema fisico è aumentato notevolmente, sento di avere grosse difficoltà a camminare, perdo il morale.
Decido comunque di partire per una tappa prevista abbastanza tranquilla. Quindi scendo a Cutigliano, il bel borgo affrescato di Lizzano, ma è sempre più una sofferenza, proprio non riesco più a camminare. Pertanto purtroppo prendo la decisione di scendere sulla SS12 per prendere il bus e rientrare mestamente alla base e riconsiderare una prosecuzione futura.
Considerazioni
Esperienza fantastica, alcuni posti ed alcune persone mi rimarranno nel cuore, sono comparse voglie di letture, di approfondimenti storici..
Il percorso andrebbe curato, i sentieri sono a tratti veramente impegnativi non tanto per le difficoltà tecniche quanto per le indicazioni (spesso inesistenti) e soprattutto per la manutenzione
degli stessi (alcuni tratti sono veramente impraticabili per persone “normali”).
Il percorso potrebbe quindi essere, almeno in alcuni tratti, segnalato.
Tutte le strutture lungo il percorso non erano a conoscenza del percorso della Linea Gotica, qualcuno ne avevano sentito vagamente parlare, addirittura alcuni non sapevano di risultare quale
“posto tappa” del percorso.
Secondo me questo percorso, molto lungo, appassionante, potrebbe risultare uno dei percorsi più belli, oltre che decisamente più impegnativi, d’Italia.
Trovare un compromesso con le istituzioni che purtroppo in queste zone sono già sono turisticamente soddisfatte, sarà arduo. Buon lavoro…e a presto!
Vito Brusaferro
Arco (TN)